Formazione in Terapia Manuale: attualità e criticità

Formazione in Terapia Manuale: attualità e criticità

La Terapia Manuale

non funziona – oppure funziona?

Un’analisi dei pro e contro

Tante sono le critiche alla Terapie Manuale.

È veramente superata? Che cosa ne pensi tu?

Erlenbach, il 8 marzo 2024

Cari colleghe e colleghi,

c’è tanta discussione sulla Terapie Manuale nella letteratura e anche nei “social media”. Come mai che una specializzazione nella fisioterapia come la Terapie Manuale può essere così fortemente criticata? Essa esiste da diversi decenni, è stata nel 1974 il primo sottogruppo (IFOMPT) della confederazione mondiale dei fisioterapisti, è insegnata in tante università del mondo fino ai programmi di master e oggetto di numerose riviste scientifiche. Nonostante tanti ne dubitano.

In questo testo trovate alcune informazioni che vi permettono di farvi una propria opinione. Ovviamente io sono convinto dell’utilità della Terapie Manuale che mi appassiona . Ho cercato però di essere il più oggettivo possibile riferendomi alla letteratura.

Di sicuro si potrebbe dire/scrivere molto di più sulla Terapia Manuale rispettivamente sulla fisioterapia muscoloscheletrica. Venne presento solo alcuni aspetti che mi sembrano rilevanti per le discussioni attuali.

La lunghezza del testo potrebbe spaventarvi a prima vista. Per una prima rapida lettura potete guardare i “Messaggio chiave” al inizio. Essi riassumano ogni capitolo. Se una constatazione vi interessa potete leggere direttamente il capitolo da cui proviene. Se volete farvi un’opinione approfondita vi consiglio di leggere tutto .

Vi auguro una buona lettura ! Cordiali saluti

Jochen Schomacher, PhD

Fisioterapista, OMT, MCMK (F), DPT (USA), BSc., MSc. Erlenbach, ZH, Svizzera

P.S.: Vi chiedo gentilmente di scusare i miei errori nella vostra bellissima lingua .

Indice

Messaggi chiave 3

  1. Di che cosa parliamo? 5
    1. Chi fa la Terapie Manuale? 5
  2. Tanti dubbi sulla Terapie Manuale 6
    1. Mobilizzazione = manipolazione – e spesso non meglio del placebo 6
    2. Concetto dell’ipo-/ipermobilità 6
    3. Equivoco sulla regola convessa-concava di Kaltenborn 7
    4. Si può mobilizzare/manipolare ovunque 8
    5. Diverse tecniche sono uguali 8
    6. Dubbi sull’efficacia della fisioterapia 9
    7. Quanta fisioterapia serve? 10
    8. La “patient education” 10
  3. Ci sono anche dubbi sull’efficacia della chirurgia 11
  4. Perché tutto funziona in modo quasi uguale – e spesso non meglio del placebo o della lista d’attesa? 12
    1. Gli studi valutano principalmente il dolore 12
    2. Oltre al dolore esiste la disfunzione 13
  5. La specificità in Terapia Manuale 13
    1. La mobilizzazione traslatoria e rettilinea 14
    2. Muovere il più specifico possibile 15
  6. Problemi con l’evidenza scientifica 16
    1. Manca un consenso in fisioterapia 16
    2. È difficile misurare la disfunzione 16
    3. La statistica con i valori medi non è sempre appropriata 17
    4. Perché allora fare la TM? 17
  7. L’approccio fenomenologico 18
  8. La (bio-)meccanica in Terapia Manuale 19
    1. Rilevante per la pratica: un esempio 20
    2. Rilevante per il ragionamento clinico: un esempio 20
  9. Aggiornarsi e fare ciò che è raccomandato 21
  10. Conclusione 21
  11. Bibliografia 22

‌Messaggi chiave

Ecco l’essenza di ogni capitolo .

1 Di che cosa parliamo?

1

La Terapie Manuale nella letteratura è intesa come solo la mobilizzazione/manipolazione passiva, mentre nella pratica è un approccio complesso ai problemi muscoloscheletrici basato sull’evidenza scientifica e clinica nel quadro biopsicosociale.

1.1

La mobilizzazione passiva è raccomandata in linee guide e nella letteratura.

2 Tanti dubbi sulla Terapie Manuale

2.1

Non c’è differenza nell’efficacia tra mobilizzazione e manipolazione e tante altre terapie – spesso neanche con il placebo.

2.2

Il concetto di ipo-/ipermobilità ha scarsa evidenza scientifica.

2.3

La regola convessa-concava è valida e descrive l’artrocinematica, non l’osteocinematica.

2.4

La manipolazione e la mobilizzazione funzionano in qualsiasi segmento per la cervicalgia.

2.5

Non c’è differenza tra diverse tecniche di vari concetti per quanto riguarda la riduzione del dolore e limitazioni funzionali associati al dolore.

2.6

Non esistono solo dubbi sulla TM ma anche su tanti approcci in fisioterapia (muscoloscheletrica). Non c’è differenza tra diversi concetti fisioterapici che spesso non sono (molto) efficace.

2.7

Poca fisioterapia spesso vale uguale come tante sedute.

2.8

La “patient education” è utile per la gestione del dolore ma non meglio di altre terapie.

3 Ci sono anche dubbi sull’efficacia della chirurgia

Anche la chirurgia spesso non è più efficace del placebo.

4 Perché tutto funziona in modo quasi uguale – e spesso non meglio del placebo o della lista d’attesa?

4.1

Tante tecniche non-specifiche alleviano il dolore e la limitazione funzionale associata al dolore. Di conseguenza tanti concetti e tecniche funzionano (sul dolore).

4.2

Il problema «meccanico» = la disfunzione richiede un trattamento specifico.

5 La specificità in Terapia Manuale

5.1

La mobilizzazione traslatoria e rettilinea (trazione, scivolamento) mira a evitare i

problemi meccanici della mobilizzazione rotatoria (compressione puntiforme delle superfici articolari e apertura eccessiva della rima articolare al lato opposto).

5.2

La TM cerca di essere il più preciso possibile nell’articolazione rispettivamente segmento disfunzionale. Un movimento passivo in un singolo segmento vertebrale finora non fu dimostrato.

6 Problemi con l’evidenza scientifica

6.1

Manca un consenso su come fare la fisioterapia/TM e di conseguenza l’intervento valutato negli studi è molto variabile.

6.2

Si misura spesso solo il dolore e le limitazioni funzionali associati al dolore – su cui funziona quasi tutto. La disfunzione tipo ipo-/ipermobilità che è un obiettivo essenziale della TM è difficile da misurare.

6.3

La statistica usa in generale la comparazione di valori medi che funziona bene quando c’è una causa chiara ma non con dolori non-specifici che non hanno una causa precisa. Servono nuovi approcci nella ricerca.

6.4

La TM non solo tratta il dolore ma anche la disfunzione ragionando su una eventuale correlazione tra i sintomi e la disfunzione (meccanica).

Questa correlazione è la base delle prevenzione.

Esistono diverse difficoltà per fare ricerca scientifica su questo modello di ragionamento.

7 L’approccio fenomenologico

La correlazione tra i sintomi e un alterazione del movimento è quasi un approccio fenomenologico: si descrive semplicemente ciò che si osserva per fare delle ipotesi soltanto dopo.

8 La (bio-)meccanica in Terapia Manuale

Nel modello biopsicosociale bisogna anche valutare la parte biomedica nella quale noi fisioterapisti ci concentriamo sulla postura e sul movimento – e quindi anche sulla

(bio-)meccanica.

8.1

Il FAI è un problema meccanico. Bisogna dunque soprattutto evitare il conflitto osso contro osso.

8.2

Il modello del GIRD nella spalla ha diversi punti critici. Difficilmente la capsula posteriore si può retrarre in pazienti “normali”.

9 Aggiornarsi e fare ciò che è raccomandato

Tanti fisioterapisti non seguono le raccomandazioni delle linee guide – e questo non è cambiato nei ultimi 30 anni.

10 Conclusione

La Terapia Manuale è molto più della mobilizzazione/manipolazione passiva a cui si riferiscono le critiche nella letteratura. Al interno del modello biopsicosociale focalizza la parte biomedica sul movimento e sulla postura. Per questo la (bio-)meccanica ha la

sua importanza ed è rilevante per i pazienti.

  1. ‌Di che cosa parliamo?

    La Terapie Manuale è un termine generico che può essere inteso in diversi modi:

    All’origine, quando la Terapie Manuale entrò nella fisioterapia negli anni 1950 grazie a G. Maitland e

    F. Kaltenborn, il termine voleva ribadire l’uso delle mani perché all’epoca i fisioterapisti usavano soprattutto esercizi attivi.

    Oggi nella letteratura il termine “Terapie Manuale” è sinonimo per la mobilizzazione/manipolazione passiva. La definizione dell’associazione internazionale IFOMPT però definisce la Terapie Manuale (ortopedica) come un approccio fisioterapico molto complessivo con tecniche passive (p. es. mobilizzazioni) e attive (p. es esercizi) in un quadro biopsicosociale che comprende anche approcci come la “patient education” (vedi: www.ifompt.org). Tanti colleghi perciò usano il termine fisioterapia muscoloscheletrica per riferirsi a questa definizione e per evitare l’equivoco Terapie Manuale = mobilizzazione passiva.

    In questo testo parliamo della Terapie Manuale (TM) come sinonimo di fisioterapia muscoloscheletrica inteso secondo la definizione dell’IFOMPT.

    Messaggio chiave:

     La Terapie Manuale nella letteratura è intesa come solo la mobilizzazione/manipolazione passiva, mentre nella pratica è un approccio complesso ai problemi muscoloscheletrici basato sull’evidenza scientifica e clinica nel quadro biopsicosociale.

    1. ‌Chi fa la Terapie Manuale?

      Noi fisioterapisti! La TM con la mobilizzazione passiva e gli esercizi fa parte dei trattamenti raccomandati in tante linee guide come per esempio per i dolori cervicali (Blanpied et al., 2017) e lombari (George et al., 2021).

      Abbinato a esercizi oppure anche da solo la mobilizzazione passiva sembra efficace:

      «While guidelines focus more on active interventions (eg, education and exercise), this review shows that a combination of active and passive treatment (eg, exercise and manual therapy), or a combination of two passive modalities (eg, acupuncture and manual therapy) may also be among the most effective intervention options.» (Castellini et al., 2022)

      Un problema di tanti studi nella fisioterapia è la loro scarsa qualità. Perciò anche questi autori scrivono: «Conclusions: While multimodal non-pharmacological interventions may reduce pain and disability for up to 3 to 6 months of follow-up when compared with inert treatment, the evidence was very uncertain about their effects. Better quality and larger trials are needed to improve the certainty of evidence.» (Castellini et al., 2022)

      La sacrsa qualità degli studi è menzionata anche da un’altra analisi della letteratura che constata:

      «Conclusion: Based on this systematic review and meta-analysis, a multi-modal treatment approach including exercise and manual therapy appears to provide similar effects as manual therapy alone, but is more effective than exercise alone or other interventions (control, placebo, ‘conventional physical therapy’, etc.) for the treatment of nonspecific neck pain and related disability. neck pain and related disability.” (general low to moderate quality of evidence) (Wilhelm et al., 2023)

      Messaggio chiave:
      La mobilizzazione passiva è raccomandata in linee guide e nella letteratura.

       

  2. ‌Tanti dubbi sulla Terapie Manuale

    Negli ultimi anni sono sbocciati diversi dubbi sulla TM. Alcuni sono giustificati e richiedono una rivalutazione del approccio – e anche alcuni cambiamenti. Altri sono basati su equivoci.

    1. ‌Mobilizzazione = manipolazione – e spesso non meglio del placebo

      Nelle pubblicazioni tanti autori scrivono che la Terapie Manuale non è efficace. Con ciò intendono dire che il solo utilizzo della mobilizzazione/manipolazione passiva non è efficace.

      Per aneddoto: Kaltenborn faceva fare al paziente almeno un esercizio attivo dopo ogni mobiizzazione/manipolazione.

      Di conseguenza non c’è differenza per esempio tra manipolazione e mobilizzazione per la lombalgia – e spesso non sono meglio del placebo – secondo due Cochrane review. Questo vale per la lombalgia acuta (Rubinstein et al., 2012) e per quella cronica (Rubinstein et al., 2011b).. Altri analisi della letteratura lo confermano (Rubinstein et al., 2011a; Rubinstein et al., 2013; Rubinstein et al., 2019; Thomas et al., 2020). La manipolazione lombare comprende però un rischio per effetti negativi (serious adverse events) (Hebert et al., 2015). Il fisioterapista ne deve tener conto nel suo ragionamento clinico.

      In modo simile la manipolazione e la mobilizzazione sul rachide cervicale mostrano simili risultati (Gross et al., 2010). La Terapie Manuale sulla colonna (spinal manual therapy) non mostrava effetti immediati sulla soglia del dolore alla pressione (pressure pain threshold) (Jung et al., 2023). La manipolazione non è quindi la bacchetta magica con la quale si risolve in un istante il problema del paziente. Sì, il paziente si sente meglio dopo – ma non meglio rispetto ad altri interventi.

      Per aneddoto: Kaltenborn criticava questi studi dicendo (fra altro) che i terapisti che eseguivano le manipolazioni forse non erano abbastanza bravi a farli. Alla mia domanda chi secondo lui poteva manipolare bene nel mondo poteva dirmi appena 4-5 nomi.

      Messaggio chiave:
      Non c’è differenza nell’efficacia tra mobilizzazione e manipolazione e tante altre terapie – spesso neanche con il placebo.

       

    2. ‌Concetto dell’ipo-/ipermobilità

      Nella storia della Terapie Manuale all’inizio c’era il paradigma che l’ipomobilità sia la causa del dolore. Si cercava quindi la rigidità e la si manipolava o mobilizzava. Soprattutto sulla colonna vertebrale questa ipomobilità fu nominata “blocco articolare”. Questo blocco fu considerato l’origine del dolore che bisognava trovare e manipolare. In inglese si diceva: “Find it and fix it.” Fino ad oggi però manca una prova per l’esistenza di un tale blocco articolare. I medici di conseguenza da tanto sconsigliano di usare questo termine (Neumann, 2003). Dagli anni 1970 in poi circa si pensava che anche l’ipermobilità possa essere una causa del dolore. Si incominciava nella Terapie Manuale quindi con gli esercizi per stabilizzare l’articolazione o il segmento ipermobile. Anche questa ipotesi non ha delle prove scientifiche fino ad oggi.

      La mancanza dell’evidenza scientifica per il concetto che l’ipo- e l’ipermobilità siano una causa del dolore ha diverse spiegazioni:

      • La mobilità segmentale vertebrale è difficile a misurare in modo oggettivo e la valutazionesoggettiva non è molto affidabile.
      • Quando l’ipermobilità è misurabile come nella spondilosistesi non necessariamente fa male.
      • Tante persone hanno clinicamente una ipo- e ipermobilità senza nessun dolore. La ricerca attuale che è basata sulla comparazione di valori medi non può quindi trovare una differenza di mobilitàtra persone con e senza dolore (Schomacher, 2021). Un’alterazione della mobilità è semplicemente un fattore che può essere in correlazione con i sintomi ma non necessariamente lo deve.Per aneddoto: Kaltenborn differenziava tra trattamento del dolore e trattamento dell’ipo-/ipermobilità. Nella storia della fisioterapia lui faceva la prima ricerca scientifica sull’affidabilità della valutazione segmentale vertebrale del movimento (Kaltenborn and Lindahl, 1969). L’ipo-/ipermobilità considerava come un fattore che può risultare in conseguenze biomeccaniche negative tra cui anche il dolore. Era ben consapevole che l’ipo-/ipermobilità di per se non fanno male .

        Messaggio chiave:

        Il concetto di ipo-/ipermobilità ha scarsa evidenza scientifica.

         

    3. ‌Equivoco sulla regola convessa-concava di Kaltenborn

      Tanti fisioterapisti considerano la regola convessa-concava una teoria importante per trovare una decisione nel trattamento (Kirby et al., 2007).

      • Nascevano però dei dubbi perché una ricerca mostrava che nella spalla in rotazione esterna a 90°di abduzione succede una traslazione posteriore della testa del omero (Baeyens et al., 2000; Baeyens et al., 2001).
      • Anche nell’articolazione radio-ulnare prossimale fu dimostrato durante la supinazione una traslazione posteriore della testa del radio mentre la regola convessa descrive uno scivolamento anteriore (Baeyens et al., 2006).
      • Un analisi di 30 studi mostrava un’evidenza inconsistente, una bassa qualità metodologica e una eterogeneità degli studi in modo che non fu possibile concludere qualcosa di chiaro sulla direzione della traslazione della testa del omero (Brandt et al., 2007).
      • In uno studio con 18 pazienti con capsulite adesiva (frozen shoulder) metà dei pazienti riceveva uno scivolamento anteriore e l’altra metà uno scivolamento posteriore durante sei sedute. Non c’era differenza in riguardo al effetto analgesico tra i due gruppi. Il gruppo con la mobilizzazione posteriore però guadagnava di più in rotazione esterna rispetto al gruppo con la mobilizzazione anteriore il che sembrava di contradire la regola convessa (Johnson et al., 2007b).
      • In 25 adulti sani fu misurato con la radiografia lo spostamento del femore durante il movimento di inginocchiarsi da una posizione di 90° di flessione alla flessione completa (vedi disegno). Il femore faceva una traslazione posteriore contrario allo scivolamento anteriore descritto dalla regola convessa (Scarvell et al., 2019). Questi autori scrivono: “Analysis of kneeling by medical imaging shows the femur moves back to the posterior rim of the tibial plateau, prompting review of the concave-convex rule” (Scarvell et al., 2019)

      Tutti questi studi sono metodologicamente validi e buoni. L’unico problema è che

      loro hanno misurato lo spostamento del centro della testa del omero, della testa del radio e dei condili femorali. La regola convessa concava invece descrive lo spostamento della superfice cartilaginea del osso il che è difficile misurare con le bioimmagini (Schomacher, 2008b). La regola convessa concava è valida perché è una semplificazione della legge delle leve (Schomacher, 2009b).

      Nella ricerca di (Johnson et al., 2007b) invece è possibile che gli autori hanno coretto un malposizionamento anteriore della testa del omero spingendola indietro (Johnson and Godges, 2007a; Schomacher, 2007)

      Per aneddoto: Kaltenborn usava la regola convesa-concava come una semplificazione nella descrizione della meccanica articolare nel suo insegnamento. La chiamava il metodo indiretto per determinare la direzione dello scivolamento della superfice articolare durante il movimento. Il metodo diretto – il suo preferito – era di palpare e sentire durante il movimento.

      Messaggio chiave:
      La regola convessa-concava è valida e descrive l’artrocinematica, non l’osteocinematica.

       

    4. ‌Si può mobilizzare/manipolare ovunque

      La tradizione in TM richiede una alta specificità: L’ipotesi era che bisogna mobilizzare/manipolare selettivamente il segmento vertebrale rispettivamente l’articolazione periferica dove è localizzato il problema.

      In caso di cervicalgia però non importa dove si applica la manipolazione:

      • In 104 pazienti con cervicalgia la manipolazione del segmento sintomatico è altrettanto efficace della manipolazione a distanza (Haas et al., 2003).
      • Addirittura la manipolazione del rachide dorsale alto e quindi distante dal rachide cervicale allevia la cervicalgia (Cleland et al., 2005; Cleland et al., 2007).
      • La manipolazione di T4 con due tecniche diverse allevia il dolore cervicale (Casanova-Méndez et al., 2014).

        Anche per la mobilizzzione in caso di cervicalgia non importa il livello che si mobilizza:

      • La mobilizzazione secondo Maitland del segmento sintomatico allevia il dolore cervicale altretanto come la mobilizzazione a distanza (Aquino et al., 2009).
      • Lo stesso fu trovato per la mobilizzazione secondo Kaltenborn (Schomacher, 2009a).Per aneddoto: Kaltenborn intendeva questa precisione della manovra per la rigidità del segmento vertebrale rispettivamente dell’articolazione periferica. Per alleviare il dolore lui non considerava necessaria una tale precisione.

        Messaggio chiave:
        La manipolazione e la mobilizzazione funzionano in qualsiasi segmento per la cervicalgia.

         

    5. ‌Diverse tecniche sono uguali

      Noi fisioterapisti vogliamo – giustamente – saper fare la migliore tecnica che esiste. Purtroppo la letteratura non indica quale sia questa tecnica .

      Per la cervicalgia per esempio non c’è differenza nel effetto sul dolore tra

      • manipolazione, mobilizzazione secondo Maitland e SNAGs di Mulligan (Pérez et al., 2014).
      • due tecniche manipolative del rachide dorsale sul dolore cervicale (Casanova-Méndez et al., 2014)
      • due tecniche diversi di mobilizzazione di C7 (Creighton et al., 2014)
      • mobilizzazione secondo Maitland e SNAGs di Mulligan sulle vertigini cervicogenici (Reid et al., 2014)
      • mobilizzazione secondo Maitland, secondo Mulligan e solo esercizi attivi (Ganesh et al., 2014).Anche per la lombalgia non c’è differenza tra i trattamento secondo Mailtand e McKenzie (Powers et al., 2008) e tra i trattamenti secondo Kaltenborn e McKenzie (Paatelma et al., 2008).

        Per aneddoto: Kaltenborn era consapevole di questo fatto. Secondo lui per alleviare il dolore si poteva fare di tutto: “When you have pain you can do everything.” (Kaltenborn, Spine Congress, Rom, 09.10.2005 in: (Schomacher, 2005). Lui però non voleva soltanto ridurre il dolore ma migliorare soprattutto la meccanica del movimento. E per questo serve la specificità nelle manovre e nel ragionamento clinico 

        Messaggio chiave:
        Non c’è differenza tra diverse tecniche di vari concetti per quanto riguarda la riduzione del dolore e limitazioni funzionali associati al dolore.

         

    6. ‌Dubbi sull’efficacia della fisioterapia

      Esistono così diversi dubbi sulla TM – ma non solo. Sempre più studi mostrano una scarsa efficacia e/o poca evidenza scientifica per tanti approcci in fisioterapia. Ecco alcuni esempi:

      • L’aggiunta del trattamento secondo McKenzie al trattamento standard del medico per la lombalgia non faceva nessuna differenza (Machado et al., 2010). Trattare pazienti lombari secondo McKenzie oppure metterli su una lista d’attesa anche non faceva nessuna differenza (Takasaki and May, 2014). Nota bene che il secondo autore, Stephen May, è co-autore dei libri di McKenzie!
      • Per la lombalgia (sub-)acuta un Cochrane Review constatava che McKenzie non è un trattamento efficace (Almeida et al., 2023). Per l’effetto di McKenzie sulla lombalgia cronica ho trovato solo un protocollo per un Cochrane Review (Machado et al., 2012) senza la sua realizzazione fino a ottobre 2023.
      • La fasciaterapia („myofascial release”) è priva di evidenza scientifica (Weber, 2023).
      • “triggerpoint” sono stati dimostrati una sola volta nel animale vivo e nel uomo post mortem senza che ci fu misurato una associazione al dolore muscolare (Mense, 2021b; a; 2024).
      • La capacità di fisioterapisti a valutare il controllo dei movimenti lombari nei pazienti è stata dimostrata riguardo la validità e l’affidabilità (Luomajoki et al., 2007; 2008; 2010). I rispettivi esercizi sembravano anche essere efficaci (Luomajoki, 2012). Una ricerca di alta qualità però mostrava che non c’è differenza tra esercizi specifici per questo controllo dei movimenti e esercizi generali (Saner et al., 2011; Saner et al., 2015). Anche un Cochrane Review indica risultati simili per esercizi del controllo motorio (motor control exercises) e altri esercizi (evidenza bassa ad alta) e nessuna differenza tra questi esercizi e terapie manuali (evidenza moderata ad alta) (Saragiotto et al., 2016). Un autore differenziava tra esercizi per attivare i muscoli come gli esercizi per il trasverso addominale (motor control exercises) ed esercizi per controllare i movimenti lombari (movement control exercises). Ne trovava tre studi in riguardo che non mostravano nessuna differenza (Luomajoki et al., 2018).
      • L’allenamento fisico fa bene a pazienti lombari (Luomajoki, 2002; Airaksinen et al., 2004; 2005) però il tipo di allenamento sembra essere uguale (Heyman, 2002).

      • Per il LBP acuto gli esercizi (exercise therapy) hanno probabilmente nessun effetto clinicamente rilevante sul dolore e lo stato funzionale in comparazione al trattamento placebo e a nessun trattamento (IJzelenberg et al., 2023). La sicurezza di quest’evidenza però è bassa (IJzelenberg et al., 2023) (= Cochrane Review).
      • Per il LBP cronico gli esercizi migliorano il dolore e la limitazione funzionale, ma l’effetto è piccolo e clinicamente sotto la soglia della differenza minima clinicamente importante (Hayden et al., 2021). L’effetto degli esercizi sembra essere non meglio di quello di terapie manuali (Hayden et al., 2021) (= Cochrane Review).
      • Anche per l’efficacia degli esercizi cervicali manca un’evidenza di alta qualità (Gross et al., 2015)
      • La postura è un elemento chiave della “back school” (Zachrisson-Forssell, 1980; 1981) ma nella letteratura manca un consenso (Riley et al., 2020). Alcuni autori la considerano non importante per il nsLBP (= non-specific low back pain) (Kripa and Kaur, 2021). Altri invece trovano la correzione della postura più efficace di un allenamento della forza e della mobilità secondo le linee guida (van Dillen et al., 2021). Da non trascurare nel modello biospicosociale è il fatto che una postura neutra ha effetti positivi sulla psiche rispetto a una postura curva (Elkjær et al., 2022). Meccanicamente la postura ideale si trova in mezzo alla zona neutrale della colonna perché qui la sollecitazione (inglese: strain) è il più basso (Panjabi, 1992). I fisioterapisti però non concordano su ciò che sia la postura ideale (O’Sullivan et al., 2012).
      • A causa dei dubbi sull’efficacia della fisioterapia sulla lombalgia la linea guida in Germania scrive che la “terapia con il movimento” di cui fa parte la fisioterapia “può” essere fatta nella lombalgia acuta ((BÄK) et al., 2017). “Puo” significa che si può fare oppure non fare senza differenza. Nella lombalgia cronica la “terapia con il movimento” è raccomandata per aiutare l’attività fisica del paziente ((BÄK) et al., 2017). Non è menzionato nella linea guida il trattamento dei “triggerpoint”, della fascia, dell’ipo- e ipermobilità eccetera.

        Messaggio chiave:
        Non esistono solo dubbi sulla TM ma anche su tanti approcci in fisioterapia (muscoloscheletrica). Non c’è differenza tra diversi concetti fisioterapici che spesso non sono (molto) efficace.

         

    7. ‌Quanta fisioterapia serve?

      I dubbi sulla fisioterapia non riguardano soltanto le diverse tecniche ma anche la quantità di trattamenti che sono necessari/utili. Di nuovo ecco alcuni esempi:

      Dopo l‘intervento sulla rottura del LCA non c‘era differenza tra la riabilitazione a casa fatta dal paziente e la fisioterapia con 1-2 sedute/settimana (McNeill et al., 2023).

      WAD acuto: (Whiplash-associated disorders = WAD) (Lamb et al., 2013)

      Nel pronto soccorso non fu trovato nessuna differenza tra il trattamento medico standard (1598 pazienti) e in aggiunta una seduta con consiglio sulla gestione dei sintomi (2253 pazienti).

      Per dolori cervicali persistenti dopo il colpo di frusta sei sedute di fisioterapia (300 pazienti) mostravano un vantaggio di solo 3,7 punti (SD -6,1 a -1,3) nel NDI (massimo punteggio di solito 50 punti, ma in questa ricerca 100 punti) rispetto a una sola seduta di fisioterapia con consigli (299 pazienti). Questa differenza esisteva solo 4 mesi dopo il trattamento e scompariva dopo 8 e 12 mesi (Lamb et al., 2013):

      In conclusione questa ricerca di alta qualità pubblicata nel Lancet raccomanda l’approccio medico standard nel pronto soccorso e una sola consulenza fisioterapica con consigli in caso di dolori persistenti (Lamb et al., 2013):

      WAD cronico: (Michaleff et al., 2014)

      Pazienti con il WAD grado 1-2 > 3 mesi e < 5 anni ricevevano a) una sola seduta di fisioterapia (n = 86) oppure b) 20 sedute di fisioterapia (n = 86) di 1 ora ciascuna durante 12 settimane con mobilizzazioni (solo nelle prime due sedute), esercizi specifici, aumento graduale dell’attività rispettando principi comportamentali (inglese: specific motor relearning exercises and graded activity, with cognitive behavioural treatment rules).

      Risultati: 14 settimane e 6 e 12 mesi dopo l’inizio della randomizzazione non c’era nessuna differenza significativa in riguardo al alleviamento del dolore tra i due gruppi (Michaleff et al., 2014).

      Questo elenco potrebbe essere prolungato.

      Messaggio chiave:
      Poca fisioterapia spesso vale uguale come tante sedute.

       

    8. ‌La “patient education”

      Negli ultimi anni si può osservare un trend via dai trattamenti manuali e ragionamenti meccanici verso un approccio tipo cognitivo-comportamentale che cerca di fornire spiegazioni al paziente e di motivarlo per continuare la sua attività fisica – e se possibile anche per migliorare il suo stile di vita e le sue condizioni di vita . Una forma di questo approccio è la cosiddetta “patient education”.

      Questo termine descrive diverse misure psicologiche e pedagogiche che mirano ad aiutare il paziente e i suoi prossimi nella gestione della sua malattia (Syx, 2008). Un obiettivo importante è di incrementare il “self empowerment” (= auto potenziamento) cioè la capacità di decidere consapevolmente sulla soluzione del problema di salute e di assumersi il carico di farlo (Paterick et al., 2017). Questa “patient education” sembra aumentare l’impegno del paziente a contribuire e partecipare al suo trattamento (Johnson et al., 2023). Essa riduce il dolore, l’uso di farmaci e visite mediche e migliora alcuni parametri fisiologici, fisici e psicologici in diversi ambiti medici tra cui anche i problemi muscoloscheletrici (Simonsmeier et al., 2021). Quindi: è molto utile.

      Un Cochrane review però mostrava che l’informazione/educazione individuale di 2,5 ore nel nsLBP è efficace comparato a nessun intervento ma che non è meglio rispetto altre terapie come la fisioterapia, la Terapie Manuale, l’agopuntura, la chiropratica eccetera (Engers et al., 2008). La „patient education“ intensa aiuta nel nsLBP (sub-)acuto mentre per il nsLBP cronico la situazione era non chiara (Engers et al., 2008).

      Un’altra forma di un tale approccio cognitivo-comportamentale è la “cognitive functional therapy” che abbina l’informazione/educazione con attività fisica. Quando la si aggiunge al trattamento medico standard del nsLBP il paziente guadagna rispetto al trattamento standard da solo (Kent et al., 2023). Anche l’aggiunta di altre terapie al trattamento medico standard però mostrava effetti positivi come per esempio l’attivazione del muscolo trasverso addominale (Richardson et al., 1999) il che riduceva addirittura in modo significativo le recidive nei prossimi due anni di circa 50% rispetto al solo trattamento standard del medico (Hides et al., 2001). Quindi: non è meglio di altre terapie .

      Una ricerca più recente non mostrava nessuna differenza nella riduzione del nsLBP tra la „cognitive functional therapy“ e la Terapie Manuale con esercizi (Fersum et al., 2019). Per la cervicalgia un Cochrane review mostrava altrettanto una mancanza di una forte evidenza per misure educative (educational interventions) (Gross et al., 2012).

      Un semplice ragionamento logico ci può aiutare a comprendere che la “patient education” è molto utile per la gestione della sensazione del dolore ma che non la diminuisce: Noi fisioterapisti conosciamo bene i contenuti della “patient education”. Possiamo quindi gestirlo bene. Però quando qualcosa ci fa male tutta la nostra conoscenza serve ben poco per ridurre il dolore .

      Messaggio chiave:
      La “patient education” è utile per la gestione del dolore ma non meglio di altre terapie.

      La lista dei dubbi potrebbe continuare così.

       

  3. ‌Ci sono anche dubbi sull’efficacia della chirurgia

    Di fronte a questi dubbi in riguardo alla TM e alla fisioterapia il paziente potrebbe essere tentato di farsi operare. Per quanto possiamo – e dobbiamo – essere contenti delle possibilità meravigliose della chirurgia di oggi essa però non è la soluzione facile per tutti i dolori muscoloscheletrici. Alcuni esempi:

    Ginocchio:

    • In caso di rotture degenerative del menisco la fisioterapia è ugualmente efficace come la chirurgia anche nel “follow-up” di cinque anni (Noorduyn et al., 2022). Non c’è nessuna differenza riguardo a uno sviluppo dell’artrosi tra i due gruppi (Noorduyn et al., 2022). Nonostante la chirurgia continua ad essere applicata molto (Rongen et al., 2018; Noorduyn et al., 2022).Gli autori concludono: “Physical therapy should therefore be the preferred treatment over surgery for degenerative meniscal tears.” (Noorduyn et al., 2022).„Although the current evidence suggests nonoperative management is best in patients with degenerative meniscal tears, it has not yet led to a substantial reduction of meniscal surgeries for this population .”(Noorduyn et al., 2022).
    • In 120 pazienti con una rottura del LCA del ginocchio metà dei pazienti che non si facevano operare sviluppavano una guarigione spontanea della rottura verificata nella RM. Questi pazienti erano meglio in riguardo al dolore e alla funzione paragonato ai pazienti operati due e cinque anni dopo (Filbay et al., 2023).

      Spalla:

    • Negli anni 1970 sorgeva l’idea che tanti dolori della spalla siano causati da una compressione delle strutture sotto l’acromion (“impingement”). Fu creato quindi l’intervento di decompressione nel quale si toglie una parte del acromion (Neer, 1972). Da allora questa chirurgia è in continuo aumento (Holmgren et al., 2012). Questa chirurgia però non è più efficace di un intervento placebo (Beard et al., 2015; Beard et al., 2018; Paavola et al., 2018). Un analisi della letteratura (Lähdeoja et al., 2019) e un Cochrane Review confermavano questo fatto (Karjalainen et al., 2019).
    • Esercizi attivi mostrano per questo dolore della spalla lo stesso effetto della chirurgia (Lewis, 2011; Paavola et al., 2018). Attenzione: Il fatto che la chirurgia è uguale al placebo e che gli esercizi ottengono lo stesso risultato vuol dire in altre parole che anche gli esercizi sono uguale al placebo .
    • Per la rottura dei tendini della cuffia dei rotatori (almeno due tendini oppure una rottura > 5 cm oppure una rottura considerata inoperabile) la chirurgia non era meglio degli esercizi o altri interventi conservatori (Fahy et al., 2022).

      Chirurgia:

    • In Germania 97% degli interventi chirurgici sul rachide potrebbero essere evitati chiedendo una seconda opinione di un altro medico (Meißner, 2022). Lo stesso vale per 87% degli interventi sulle protesi di ginocchio e anca (Meißner, 2022).Dubbi sull’indicazione della chirurgia esistono anche perché le alterazioni visibili nelle bioimmagini non necessariamente sono la cuas del dolore. L’interpretazione delle immagini RM sul rachide lombare per esempio è molto variabile (Fleiss Kappa generale 0.20 ± 0.06) e spesso sbagliata (Herzog et al., 2017). In più alterazioni strutturali nelle bioimmagini appaiono anche in persone senza dolori (Brinjikji et al., 2015).

      Messaggio chiave:
      Anche la chirurgia spesso non è più efficace del placebo.

       

  4. ‌Perché tutto funziona in modo quasi uguale – e spesso non meglio del placebo o della lista d’attesa?

    Abbiamo visto che non c’è differenza tra diverse tecniche fisioterapiche inclusa la TM, tra diversi modi di applicarli e dove li si applica, tra diversi “concetti” fisioterapici e spesso neanche tra il trattamento medico (chirurgia) e l’esercizio. Come possiamo spiegarlo?

    1. ‌Gli studi valutano principalmente il dolore

      Tutti questi studi misurano come risultato l’intensità del dolore e la limitazione funzionale associata al dolore (tipo: “Non posso accovacciarmi perché mi fa male il ginocchio.”). Gli studi valutano quindi soprattutto l’effetto analgesico degli interventi.

      La fisiologia del dolore ci insegna che si ottiene l’analgesia con tante tecniche non-specifiche. La mobilizzazione passiva e la manipolazione per esempio stimolano semplicemente degli recettori che mandano delle afferenze verso il SNC dove attivano il sistema analgesico (Melzack and Wall, 1996; Schmid et al., 2008; Bialosky et al., 2009; Nijs and Van Houdenhove, 2009; Nijs et al., 2010; Nijs et al., 2012; Schmid, 2013). E queste afferenze sono potenziali d’azione che non contengono nessuna informazione sulla tecnica usata. Il trattamento analgesico funziona quindi con tecniche non-specifiche!

      Melzack e Wall lo spiegavano tanti anni fa così: „The mechanisms that underlie the pain-relieving effects of most of the procedures of physical therapy remain a mystery. The most plausible hypothesis for all of them is that they produce sensory inputs that ultimately inhibit pain signals (‚close the gate‘).“ (Melzack et al., 1996) (p. 231)

      Kaltenborn ha riassunto questo fatto dicendo: “When you have pain you can do everything.” (Kaltenborn, Spine Congress, Rom, 09.10.2005 in: (Schomacher, 2005)

      Messaggio chiave:
      Tante tecniche non-specifiche alleviano il dolore e la limitazione funzionale associata al dolore. Di conseguenza tanti concetti e tecniche funzionano (sul dolore).

      Domanda: Che cosa è quindi la specificità in Terapia Manuale?

       

    2. ‌Oltre al dolore esiste la disfunzione

      La TM non mira soltanto il dolore ma anche – e direi addirittura soprattutto – la disfunzione del movimento e della postura. Pochi studi si occupano di questa disfunzione perché è molto difficile da misurare. La TM di Kaltenborn ipotizza che diversi dolori muscoloscheletrici abbiano una causa meccanica che richiede un trattamento specifico. Anticipo subito che questa ipotesi è molto contestata. Le ragioni vediamo dopo .

      La fascite plantare per esempio può essere influenzata oppure anche causata meccanicamente da una tensione eccessiva che risulta da un appiattamento del arco mediale della volta del piede. Oltre al trattamento sintomatico del dolore bisogna quindi anche sostenere e stabilizzare questo arco mediale per ridurre la tensione eccessiva sulla fascia plantare (Eckl and Schomacher, 2017; Schomacher, 2017a; b; c; d).

      Il bisogno di un tale trattamento specifico conosciamo bene dall’allenamento: gli esercizi per migliorare la coordinazione, la forza, l’ipertrofia muscolare, la resistenza della performance muscolare, la velocità eccetera sono (e devono esserlo!) diversi tra di loro soprattutto in quanto riguarda il loro dosaggio (Weineck, 2010).

      Un altro esempio è la vera contrattura articolare per la quale la mobilizzazione passiva non è efficace come fa vedere un Cochrane Review die 49 RCT (Harvey et al., 2017a; Harvey et al., 2017b). Efficace invece sono le ortesi per esempio alle dita della mano (Glasgow et al., 2010), al gomito (Dávila and Jonston-Jones, 2006) o al ginocchio (Bonutti et al., 2010). Questi ortesi stimolano la capsula retratta a crescere in lunghezza (Flowers, 2010).

      Siccome questi ortesi richiedono una prescrizione medica e sono ingombranti e non facili da gestire nella vita di tutti i giorni si può imitarli tenendo volontariamente l’articolazione nella posizione nella quale la terrebbe anche l’ortesi. Un riassunto di questo trattamento con le cosiddette posture si trova in (Schomacher, 2023) e un breve esempio in lingua italiana in (Schomacher, 2020a). La mobilizzazione passiva dà una sensazione di benessere e di più movimento immediata al paziente. Eseguita sia dal terapista sia dal paziente può dunque aiutare il trattamento con le posture che deve essere completato dai movimenti ripetuti.

      Messaggio chiave:
      Il problema «meccanico» = la disfunzione richiede un trattamento specifico.

      Domanda: Che cosa è questa specificità in Terapia Manuale?

       

  5. ‌La specificità in Terapia Manuale

    Siccome ci sono differenze tra i diversi concetti di Terapia Manuale la spiegazione che segue vale per il concetto OMT Kaltenborn-Evjenth. Due aspetti principali lo caratterizzano.

    • La mobilizzazione passiva con tecniche traslatorie e rettilinee: trazione e scivolamento
    • La precisione del movimento in una sola articolazione rispettivamente in una regione della colonna vertebrale (segmento?).
    1. ‌La mobilizzazione traslatoria e rettilinea

      L’immobilizzazione era ed è uno dei più importanti rimedi in ortopedia (Moll, 1886; Akeson et al., 1980; Ushida and Willis, 2001). La retrazione della capsula articolare e la degenerazione della cartilagine sono forse i problemi specifici più frequenti nella riabilitazione fisica (Trudel and Uhthoff, 2000; Trudel et al., 2001). Negli anni 1950 e 1960 le rigidità articolari erano molto più diffusi rispetto ad oggi perché l’immobilizzazione nel gesso era il trattamento ortopedico predominante perché non c’era ancora l’era della osteosintesi.

      Kaltenborn faceva all’epoca l’esperienza che non tutti i pazienti reagivano bene alle mobilizzazioni rotatorie a braccio di leva. Imparando altre tecniche per esempio da James Mennell (Mennell, 1945; 1949; Mennell, 1952) e studiando la meccanica delle articolazioni per esempio da MacConaill (MacConaill and Basmajian, 1977; MacConaill, 1989) sviluppò un’ipotesi che è diventata fondamentale nella Terapie Manuale secondo Kaltenborn. Essa dice che durante la mobilizzazione a braccio di leva possono risultare su un lato della rima articolare la compressione puntiformi delle superfici articolari e sul altro un apertura eccessiva della rima articolare. Entrambi possono danneggiare delle strutture: la compressione puntiforme può lesionare la cartilagine e l’apertura eccesiva della rima articolare può stressare i legamenti e la capsula (Kaltenborn, 2014). Per evitare questi effetti negativi Kaltenborn consigliava di usare dei movimenti traslatori rettilinei in trazione e scivolamento in relazione a un cosiddetto piano di trattamento che è un piano immaginato sulla concavità della superficie articolare (Kaltenborn, 2014).

      Questa tecnica traslatoria con trazione e scivolamento per la mobilizzazione passiva delle articolazioni rigide è tipica per l’approccio di Kaltenborn e suo collega Evjenth. L’approccio nacque all’epoca dall’esperienza e dal ragionamento teorico. La scienza in fisioterapia non esisteva ancora quasi per niente.

      Oggi abbiamo poche prove che giustificano queste tecniche traslatorie.

      Nella caviglia per esempio il movimento rotatorio sforzato in flessione dorsale crea un conflitto anteriore (anterior ankle impingement) che col tempo e le tante ripetizioni può abradere la cartilagine (Bowers and Castro, 2007) – per un review vedi (Schomacher, 2010).

      Nell’anca una mobilizzazione rotatoria sforzata può creare addirittura una frattura d’impressione nel collo del femore che nella letteratura è nominata „Incisura physiotherapeutica“(Tschauner, 2007).

      La mobilizzazione rotatoria allunga la capsula anteriore, ma schiaccia le strutture posteriori.

      Questo fa parte del problema del FAI (femoro acetabular impingement). Tali mobilizzazioni possono aprire la rima articolare posteriore facendo leva sulla testa

      e spostandola fuori l’acetabolo. Questo può risultare in lesioni del labro acetabolare e della capsula e dei legamenti (Tibor and Leunig, 2012).

      Un movimento sforzato in intrarotazione nell’anca fa leva sul femore pizzicando la parte anteriore della rima articolare e stirando la parte posteriore della capsula con i legamenti il ché può rendere l’articolazione instabile (Krych et al., 2012).

      Per evitare questi problemi Kaltenborn proponeva la mobilizzazione con la trazione (Kaltenborn, 2011). Solo quando la trazione non dà più buoni risultati oppure quando essa non è possibile per esempio nell’articolazione femororotulea si fa lo scivolamento traslatorio sperando di stressare con essa il meno possibile l’articolazione.

      La mobilizzazione traslatoria allunga la capsula senza schiacciare niente.

      Ipotesi:

      La mobilizzazione rotatoria in grado III (= oltre il primo stop del movimento) può risultare in una lesione di compressione della superfice cartilaginea con possibili danni più tardi e in una eccessiva apertura della rima articolare lato opposto con il rischio di una lesione dei legamenti e altre strutture.

      Ovviamente ci sono anche dubbi su questa trazione che per esempio nel ginocchio è solo di circa 0,5 mm (Palhais et al., 2009; Rietzschel and Schomacher, 2015). In un’anca però la trazione separa i capi articolari normalmente di circa 1 cm (Schomacher, 2002) e nella spalla di circa 3 mm (Schomacher et al., 2014).

      Messaggio chiave:
      La mobilizzazione traslatoria e rettilinea (trazione, scivolamento) mira a evitare i problemi meccanici della mobilizzazione rotatoria (compressione puntiforme delle superfici articolari e apertura eccessiva della rima articolare al lato opposto).

       


    2. ‌Muovere il più specifico possibile

      La seconda caratteristica della tecnica di Kaltenborn ed Evjenth è che si cerca di essere il più specifico possibile nella mobilizzazione passiva il ché è spesso possibile nelle articolazioni periferiche. Quando per esempio fa male o è limitata la flessione del ginocchio si può differenziare tra l’articolazione femoropatellare e femorotibiale e, in casi molto rari, anche la tibiofibulare (vedi figura)

      Questa differenziazione così precisa è molto più difficile nella colonna oppure addirittura impossibile.

      Nel rachide cervicale per esempio la mobilizzazione postero-anteriore da prono nel grado I e IV di Maitland risulta in quasi nessun movimento (McGregor et al., 2001). Un’altra ricerca otteneva 0,9° di movimento nel segmento C5 spingendo secondo Maitland sulla spinosa di C5 in direzione postero-anteriore. I movimenti nei segmenti sopra però erano maggiore fino a 3,8° nel segmento C2 (Lee et al., 2005).

      Due altri studi non sono riusciti a fissare una vertebra cervicale e a muovere selettivamente la vertebra craniale – con tecniche Kaltenborn. Ne risultavano sempre movimenti (molto piccoli!) in più segmenti (Schomacher and Learman, 2010; Gattermeier and Schomacher, 2015). Questo è comprensibile considerando la distanza di circa 4 cm tra il dito e l’articolazione zigapofisaria a livello circa C3 quando il dito preme con la massima forza su un collo sano senza dolore (Schomacher et al., 2010).

      Anche nel rachide lombare sei studi mostravano che la mobilizzazione postero-anteriore da prono non risulta in movimenti segmentali specifici – si muovono sempre tutti i segmenti (review in: (Schomacher, 2008a)

      Di conseguenza dobbiamo accontentarci nella colonna vertebrale di accentuare i movimenti passivi e attivi in certe regioni come la lombare o la cervicale alta, media e bassa. Non possiamo pretendere di muovere un singolo segmento in modo selettivo. Lo sforzo però è sempre di essere il più specifico possibile.

      Messaggio chiave:
      La TM cerca di essere il più preciso possibile nell’articolazione rispettivamente segmento disfunzionale. Un movimento passivo in un singolo segmento vertebrale finora non fu dimostrato.

      Domanda: Perché allora esiste così poca evidenza scientifica?

       

  6. ‌Problemi con l’evidenza scientifica

    In teoria dovrebbe essere facile valutare l’efficacia della Terapia Manuale: Si prendono due gruppi di pazienti con la stessa patologia e uno si tratta con la TM e l’altro con un intervento diverso o placebo. Tanti però sono le difficoltà di cui presentiamo alcuni.

    1. ‌Manca un consenso in fisioterapia

      In TM non esistono soltanto i cosiddetti “concetti” o “scuole” di Maitland e di Kaltenborn-Evjenth che storicamente c’erano al inizio ma una moltitudine di variazioni di questi concetti. Tutti hanno fatto l’esperienza che il loro approccio funziona – il che è sicuramente vero (vedi punto 4 sopra). In ogni progetto di ricerca sono applicati di conseguenza tecniche e procedure diverse spesso non paragonabili tra di loro. Spesso manca soprattutto l’indicazione del dosaggio.

      Lo stesso problema esiste per la fisioterapia. Per il trattamento dopo la ricostruzione chirurgica della cuffia dei rotatori per esempio non esiste una procedura uniforme (Diemer, 2023). Due studi non trovavano nessuna comunanza in 51 di 96 programmi di trattamento dopo una tale chirurgia (Diemer, 2023).

      Per valutare l’efficacia della TM e della fisioterapia bisognerebbe quindi prima creare un consenso tra noi fisioterapisti su come valutare e trattare i diversi problemi di salute. Per il momento l’eterogeneità degli studi è molto grande.

      Messaggio chiave:
      Manca un consenso su come fare la fisioterapia/TM e di conseguenza l’intervento valutato negli studi è molto variabile.

       

    2. ‌È difficile misurare la disfunzione

      Gli studi misurano in generale come risultato del intervento (inglese: outcome) il dolore e le limitazioni funzionali associati al dolore. Nel punto 4.1 sopra abbiamo spiegato che per alleviare il dolore (e di conseguenza anche le limitazioni funzionali associati) funzionano tanti interventi diversi. Di conseguenza non c’è (tanta) differenza tra I diversi concetti fisioterapici e neanche tra loro e il placebo o la lista d’attesa.

      Bisognerebbe analizzare l’efficacia sulla disfunzione come l’ipomobilità e l’ipermobilità che però è molto difficile. Di conseguenza mancano studi al riguardo.

      Messaggio chiave:
      Si misura spesso solo il dolore e le limitazioni funzionali associati al dolore – su cui funziona quasi tutto. La disfunzione tipo ipo-/ipermobilità che è un obiettivo essenziale della TM è difficile da misurare.

       

    3. ‌La statistica con i valori medi non è sempre appropriata

      Gran parte dei metodi di statistica è basata sulla comparazione di valori medi. Questo funziona bene quando si cerca un fattore ben preciso. Per esempio il valore medio del tasso di corona virus è significativamente più alto in una popolazione ammalata di Covid-19 in comparazione a pazienti che hanno un semplice raffreddore.

      Ora chi ha un dolore specifico nella schiena per esempio causato da una frattura di una vertebra ha una causa specifica del dolore. L’analisi statistica mostra che le persone con un tale frattura hanno un dolore lombare che è assente nelle persone senza frattura. I valori medi di frattura lombare sono diversi tra persone con e senza dolore.

      Del dolore non-specifico però non si conosce la causa e quindi non si può fare una tale analisi di statistica perché non esiste un fattore chiaro che permette di differenziare tra persone con e senza dolore. Prendiamo per esempio la postura. Mentre la frattura causa un dolore lombare (specifico) la cattiva postura non necessariamente fa male. I valori medi della postura quindi non sono diversi tra i gruppi di persone con e senza nsLBP. La conclusione che la postura non ha nessuna rilevanza per il nsLBP è dunque statisticamente corretta. Questa argomentazione vale anche per la forza, la mobilità eccetera: debolezza, ipo-/ipermobilità, uno scarso controllo motorio eccetera si trova sia in persone con mal di schiena che in persone sane.

      Meccanicamente una “cattiva” postura curva sollecita di più il rachide lombare rispetto a una postura “dritta ideale” come quella del Davide di Michelangelo. Questa sollecitazione maggiore è un fattore che a lungo termine potrebbe contribuire allo sviluppo del nsLBP. Per verificare questa ipotesi con RCT ci vorrebbero però tanti anni e un dispendio enorme per tener conto dei tanti fattori che possono influenzare sia la postura sia il nsLBP. Non abbiamo quindi l’evidenza scientifica per questa ipotesi . Questo vale anche per altri parametri del movimento come la forza, la coordinazione, la mobilità e così via. Un deficit potrebbe avere delle conseguenze a lungo termine ma è molto difficile verificarlo.

      D’altra parte manca questa evidenza scientifica per tanti interventi in medicina come per esempio per l’osteotomia in caso di un ginocchio varo del adolescente. Per esperienza e la biomeccanica si pensa che più tardi rischia la gonartrosi e quindi si corregge il varismo nonostante l’assenza di RCT e altre prove scientifiche.

      Anche i fisioterapisti correggono con un ragionamento basato sull’esperienza e la biomeccanica la “cattiva” postura. Una tale correzione della postura in pazienti con nsLBP era per esempio più efficace che un allenamento della forza e della mobilità seguendo le linee guida (van Dillen et al., 2021). In più ci sono effetti positivi sulla psiche (Elkjær et al., 2022),

      Forse dobbiamo cercare altri metodi scientifici per analizzare e testare i nostri modelli di ragionamento in fisioterapia per non usare sempre la comparazione statistica di valori medi (Schomacher, 2021; 2024).

      Messaggio chiave:
      La statistica usa in generale la comparazione di valori medi che funziona bene quando c’è una causa chiara ma non con dolori non-specifici che non hanno una causa precisa. Servono nuovi approcci nella ricerca.

       

    4. ‌Perché allora fare la TM?

      L’interesse della Terapie Manuale non è solo di alleviare il dolore ma soprattutto anche di migliorare la funzione. La domanda principale di Kaltenborn era come alterare/migliorare la mobilità. Lui sperava tanto che la ricerca spiegasse come mai un segmento vertebrale diventi ipomobile. La sua ipotesi era una disfunzione intra-articolare che limitasse oppure addirittura bloccasse la separazione delle superfici articolari – questa separazione possiamo testare manualmente con la trazione. Di

      conseguenza il suo trattamento preferito in caso di ipomobilità era la separazione di queste superfici articolari con la trazione (Kaltenborn, 2014). Secondo la sua esperienza i sintomi del paziente diminuivano o addirittura sparivano quando il segmento vertebrale o l’articolazione periferica aveva ripristinato la sua mobilità fisiologica. Questo è una applicazione del modello di ragionamento che descrive una correlazione tra i sintomi e un alterazione del movimento.

      Fare ricerca scientifica su questa correlazione però è molto difficile come abbiamo già visto sopra. È difficile prima di tutto perché una tale disfunzione del movimento non è la (unica) causa del dolore. Un rachide dorsale rigido per esempio in generale non fa male. Spesso però il rachide dorsale rigido è associato a un’ipermobilità lombare e/o cervicale bassa che è dolente. Si pensa che la rigidità dorsale induca quest’ipermobilità come compenso. Come trattamento dei segmenti dolorosi lombari e cervicali che sono ipermobili si propone quindi tra altro di rendere il rachide dorsale più mobile – nonostante lui non fa male.

      Questo è un modello di ragionamento basato sull’esperienza e la biomeccanica. Non abbiamo però quasi nessuna evidenza scientifica per diverse ragioni come per esempio:

      • La misura di tanti parametri funzionali come la mobilità e la stabilità/instabilità del segmento vertebrale è tecnicamente difficile.
      • Siccome tutti abbiamo delle ipomobilità e ipermobilità che non fanno sempre male non si può usare il dolore come parametro (inglese: outcome) negli studi.
      • I periodi necessari per esempio per osservare se un rachide dorsale rigido induca una ipermobilità lombare e/o cervicale sono molto lunghi – probabilmente anni. Questo è troppo lungo per fare una ricerca – già economicamente.
      • I fattori che influenzano questi processi sono molteplici come il modo di muoversi, la postura abituale delle persone eccetera. Queste rende difficile di controllarli.L’interesse della TM per questi fattori del movimento non solo riguarda l’effetto sul paziente ma anche la prevenzione. Per essa non possiamo orientarci al dolore che non c’è (ancora) ma dobbiamo concentrarci sulla funzione. Le domande che abbiamo in fisioterapia sono per esempio:
      • Quale è il ruolo della postura nella prevenzione del nsLBP?
      • Come stabilizzare il segmento vertebrale instabile – premesso che l’instabilità sia una possibile causa del nsLBP?
      • Per prevenire la gonartrosi è più rilevante la stabilità del ginocchio nel paino frontale oppure la sua mobilità nel piano sagittale?
      • Dolore non-specifico della spalla (dolore subacromiale …): Quanta forza, coordinazione eccetera serve nella cuffia dei rotatori?

        Messaggio chiave:

      • La TM non solo tratta il dolore ma anche la disfunzione ragionando su una eventuale correlazione tra i sintomi e la disfunzione (meccanica).

      • Questa correlazione è la base delle prevenzione.

      • Esistono diverse difficoltà per fare ricerca scientifica su questo modello di ragionamento.

         

  7. ‌L’approccio fenomenologico

    Questa correlazione tra i sintomi e un alterazione del movimento può essere considerata quasi un approccio fenomenologico nel senso che le cose (i segni e sintomi clinici) sono osservati come si presentano senza pregiudizi. Soltanto dopo si cerca di mettere insieme i reperti osservati formulando delle ipotesi.

    Un esempio: Il paziente lamenta dolori al ginocchio quando cammina in montagna in discesa. Il fisioterapista trova nel suo esame una limitazione del ROM in flessione del ginocchio nel quale soprattutto lo scivolamento distale della rotula è limitato. Con questo può fare l’ipotesi che ci possa essere una correlazione tra il dolore nel ginocchio e la limitazione dello scivolamento distale della

    rotula. Per testare questa ipotesi il fisioterapista mobilizza la rotula e valuta se il dolore dopo sia cambiato (= trattamento di prova (Kaltenborn, 2014). Se il dolore poi fosse diminuito si potrebbe confermare l’ipotesi della correlazione tra i due fenomeni dolore e ipomobilità. Questo però non significherebbe che l’ipomobilità sia stata la causa del dolore. Avremmo soltanto trovato una correlazione che ci permette di fare un trattamento che diminuisce il dolore. Purtroppo è difficile misurare oggettivamente lo scivolamento distale della rotula e quindi non c’i sono studi – per quanto io sappia.

    Prendiamo come altro esempio un paziente che ha anche male nel ginocchio quando cammina in montagna in discesa. Il suo esame però non mostra una grande ipomobilità, ma in posizione monopodalica vediamo una scarsa stabilità del ginocchio in valgismo. Possiamo fare dunque l’ipotesi che ci sia forse una correlazione tra il dolore e l’instabilità in valgismo. Ammettiamo che l’instabilità del ginocchio in valgismo sia associata a o anche causata da un instabilità della volta del piede in valgismo (il che è spesso il caso). Questo possiamo verificare facilmente con un trattamento di prova stabilizzando la volta con un sacchetto di sabbia o qualcosa di simile. Supponiamo inoltre che con esso il piede e di conseguenza anche il ginocchio siano più stabile e che il dolore diminuisce. Questo ci confermerebbe l’ipotesi di una correlazione tra il dolore e l’instabilità.

    In questo esempio il paziente ci riferisce la diminuzione del dolore. Noi oggettivamente possiamo vedere che la posizione monopodalica con il sacchetto di sabbia sotto la volta del piede è più stabile. Questo potremmo anche misurare clinicamente per esempio con il “navicular drop” (Schomacher, 2017c). Con prescisione possiamo misurare le oscillazioni del ginocchio per esempio con l’apparecchio “OPED Orthelligent ®”. Possiamo rendere visibile la diminuzione di queste oscillazioni del ginocchio anche al paziente e ad altre persone in modo ovvio ottenendo così l’evidenza clinica cioè un risultato che è ovvio per tutti.

    Messaggio chiave:
    La correlazione tra i sintomi e un alterazione del movimento è quasi un approccio fenomenologico: si descrive semplicemente ciò che si osserva per fare delle ipotesi soltanto dopo.

    Ma questo approccio non è troppo meccanico?

     

  8. ‌La (bio-)meccanica in Terapia Manuale

    Usando questa correlazione tra i sintomi e un alterazione del movimento cerchiamo non solo di alleviare il dolore ma di valutare e se necessario di ripristinare una buona funzione del movimento e della postura. Questo approccio concorda con la descrizione della fisioterapia della “World Physiotherapy” che scrive “…that functional movement is central to what it means to be healthy.” (https://world.physio/sites/default/files/2020-07/PS-2019-Description-of-physical-therapy.pdf / download 14.11.2023)

    La TM guarda dunque anche il „functional movement“ – e non solo il dolore! Il punto di vista in riguardo della TM non è solo la meccanica che analizza le forze (cinetica) e i movimenti (cinematica) nelle articolazioni. Il punto essenziale è come la persona con i suoi tessuti reagisce a queste forze e questi movimenti ed è ciò che analizza la biomeccanica (Debrunner, 1995). La meccanica per esempio spiega che il carico in un ginocchio varo è maggiormente nella parte mediale. La biomeccanica spiega perché l’articolazione reagisce a questa forza col tempo con l’artrosi.

    Questa analisi della (bio-)meccanica non trascura il modello biopsicosociale ma lo completa .

    “Yet chronic conditions are not always automatically accompanied by dominant adverse psychosocial features, and peripheral nociception and inflammation continue to play a role in many chronic pain conditions.” (Jull, 2017) Un tale ragionamento (bio-)meccanico è rilevante per la pratica e per il ragionamento clinic!

    Messaggio chiave:
    Nel modello biopsicosociale bisogna anche valutare la parte biomedica nella quale noi fisioterapisti ci concentriamo sulla postura e sul movimento – e quindi anche sulla (bio-)meccanica.

     

    1. ‌Rilevante per la pratica: un esempio

      Il FAI (femoro-acetabular impingement) dell’anca è definito come un conflitto osso contro osso (la testa del femore con il suo collo contro l’acetabolo) che provoca un’infiammazione, diverse lesione alla cartilagine, al labro e alla capsula e una reazione del osso (exostosi). La fisioterapia proposta nella letteratura comprende esercizi per la “core” stability, il rinforzo dei muscoli dell’anca, esercizi per il controllo motorio, per la mobilità eccetera (Gatz et al., 2020; Terrell et al., 2021).

      Tutti questi esercizi però non mirano il conflitto osso contro osso che si può soltanto evitare. Il trattamento conservativo dovrebbe semplicemente consistere nel modificare le attività per evitare il ROM eccesivo (soprattutto in flessione) e quindi per evitare il conflitto (Schomacher and Bizzini, 2015a; b; Zhang et al., 2015).

      Messaggio chiave:
      Il FAI è un problema meccanico. Bisogna dunque soprattutto evitare il conflitto osso contro osso.

       

    2. ‌Rilevante per il ragionamento clinico: un esempio

      Il GIRD (= Glenohumeral Internal Rotation Deficit) descrive una limitazione in 90° di abduzione della rotazione interna > 15° (tempo fa > 18°-20°) nella spalla rispetto alla spalla del lato opposto a causa di una retrazione della capsula posteriore. Fu descritta in lanciatori di baseball che stressano ripetutamente la capsula posteriore alla fine del lancio che reagisce poi col ispessirsi. Questo ispessimento creerebbe una retrazione (Burkhart et al., 2003).

      Ci sono diversi dubbi su questa teoria.

      1° È possibile che la capsula posteriore si retrae?

      • Il lanciatore di baseball allunga la capsula tutti i giorni quando gioca e si allena – come può allora retrarsi?
      • La persona “normale” mette tutti i giorni la mano sulla pancia (= circa 80° di intrarotazione) e tutti i giorni anche almeno qualche volta dietro il corpo (= > 80° di intrarotazione). Difficile perdere il ROM “normale” della intrarotazione che è di circa 100°.2° Quanta intrarotazione serve?
      • La persona che non gioca al baseball non ha bisogno di tanta intrarotazione in 90° di abduzione.3° Nella valutazione clinica l’intrarotazione è in generale fisiologica.
      • Nella valutazione clinica la sensazione finale in intrarotazione è spesso l’unica fisiologica (= ferma ed elastica) nella spalla – in più anche quella in flessione. Questo però è una valutazione soggettiva .4° L’uso di una tecnica rotatoria di mobilizzazione.
      • La tecnica raccomandata per stirare la capsula posteriore – il “sleepers stretch” – stressa dal punto di vista artrocinematico il labro anteriore e altre strutture.5° L’anteposizione della testa del omero
      • La difficoltà di tante persone di mettere la mano dietro la schiena può essere spiegata con una anteposizione della testa del omero.(Per un review sul GIRD vedi (Schomacher, 2020b))

        Messaggio chiave:

      • Il modello del GIRD nella spalla ha diversi punti critici. Difficilmente la capsula posteriore si può retrarre in pazienti “normali”.

         

  9. ‌Aggiornarsi e fare ciò che è raccomandato

    Nonostante tutti i progressi e le migliaia di pubblicazioni noi fisioterapisti non facciamo sempre ciò che dovremmo . Autori che hanno analizzato la situazione scrivono:

    The median percentage of physical therapists who provided recommended treatments (40% from 1990 to 1999, 50% from 2000 to 2009, and 35% from 2010 to 2018) and non-recommended treatments (41%, 28%, and 39% respectively) has not changed over time. 

    However, more physical therapists seem to be providing treatments of unknown value (41% from 1990 to 1999, 55% from 2000 to 2009, and 70% from 2010 to 2018).“ (Zadro and Ferreira, 2020) (recommended ´= care recommended in guidelines or systematic reviews (p. 459)

    Forse dobbiamo impegnarci a fare qualcosa ?

    Messaggio chiave:
    Tanti fisioterapisti non seguono le raccomandazioni delle linee guide – e questo non è cambiato nei ultimi 30 anni.

     

  10. ‌Conclusione

    Le critiche sulla Terapie Manuale cono giuste quando la si intende come il solo utilizzo della mobilizzazione passiva come viene fatto negli studi. La Terapie Manuale però è molto più di questo: Essa è una specializzazione nella fisioterapia sui problemi muscoloscheletrici dei pazienti al interno del quadro biopsicosociale usando l’evidenza scientifica e clinica disponibile (vedi la definizione del IFOMPT su www.ifompt.org).

    Nessuno dubita sull’importanza dei aspetti psicosociali nella gestione del problema di salute. Nel modello biopsicosociale c’è però anche una parte biomedica. Qui la TM si focalizza sulla (bio-)meccanica per analizzare la postura e il movimento che sono al centro di ciò che significa essere sano secondo la “World Physiotherapy”.

    Gli aspetti psicosociali possono essere analizzati da diversi punti di vista e permettono dunque tante discussioni. Tutti i fisioterapista però sono d’accordo sulla loro rilevanza. Le differenze tra i diversi concetti in fisioterapia e TM non risiedono in questi aspetti ma principalmente nella parte biomedica del modello biopsicosociale. C’è chi “crede” nella fascia, nei triggerpoint, nel ritmo craniosacrale eccetera.

    La TM analizza la postura e il movimento sulla base della (bio-)meccanica che è una scienza assai oggettiva. Essa ci permetterebbe di creare un consenso su come esaminare e trattare meccanicamente il problema di salute per creare delle linee guida in fisioterapia. Tocca a noi di farlo.

    Messaggio chiave:
    La Terapia Manuale è molto più della mobilizzazione/manipolazione passiva a cui si riferiscono le critiche nella letteratura. Al interno del modello biopsicosociale focalizza la parte biomedica sul movimento e sulla postura. Per questo la (bio-)meccanica ha la sua importanza ed è rilevante per i pazienti.

     

  11. ‌Bibliografia

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